La lamiera ondulata, simbolo globale della povertà urbana e delle costruzioni effimere è un elemento molto più antico di quanto si possa immaginare.

La sua invenzione, contesa fra Inghilterra e Prussia, risale infatti ai primi anni del 1800 e nell’arco di pochissimi decenni si diffuse rapidamente in buona parte del mondo.

Indubbiamente l’invenzione di questo materiale rappresentò una vera e propria rivoluzione epocale, soprattutto in contesti tropicali con forti piogge. Fino ad allora le coperture infatti erano realizzate o con i tradizionali sistemi vegetali (tetti in paglia) o con tegole di legno, materiali che deperiscono rapidamente dopo poche stagioni e che richiedono una continua manutenzione.

La lamiera ondulata oltre a rendere un tetto perfettamente impermeabile all’acqua è leggera, facilmente trasportabile, semplice da installare e relativamente economica: un sogno di modernità che la rende, ancora oggi, un elemento diffusissimo e difficilmente sostituibile.

Il vantaggio enorme, soprattutto nelle baraccopoli è anche dovuto alla facilità di riciclare il materiale: un elemento bucato e non più utile per il tetto può essere riutilizzato in una parete, dove non c’è rischio di infiltrazioni d’acqua o per rinforzare una porta. Alcuni edifici sono uno splendido patchwork di pezzi minuscoli riutilizzati di volta in volta.

Le dimensioni in commercio sono abbastanza varie ma generalmente si attestano fra i 183 x 84 cm e i 244 x 92 cm (vedi la nostra scheda a fondo pagina per i dettagli), i fogli sono facilmente tagliabili con apposite taglierine da metallo.

La struttura necessaria a reggere un tetto o una parete in lamiera ondulata è quella tradizionale a travi e travetti (con i travetti perpendicolari al verso principale delle ondulature), in alcuni casi si preferisce utilizzare un assito continuo che permette di isolare termicamente gli interni e di offrire maggiore resistenza al vento.

Il fissaggio avviene in copertura con chiodi dotati di guaina impermeabile o con viti negli ambienti più estremi (principalmente a causa del vento), nelle pareti può essere impiegato filo di ferro.

Il difetto principale del materiale riguarda senza dubbio lo scarso comfort interno degli edifici sia per la trasmissione del calore sia per l’”effetto tamburo” durante forti scrosci di pioggia.

Le lamiere di copertura raggiungono temperature vertiginose durante il giorno (in alcuni casi potrebbero essere tranquillamente usate per cucinare) rendendo l’ambiente interno invivibile.

Al contrario esse si raffreddano abbastanza rapidamente appena cala il sole grazie alla scarsa inerzia termica del metallo e allo spessore minimo degli elementi.
La scarsa ventilazione degli ambienti interni però fa sì che il calore accumulato nelle ore diurne resti a lungo anche durante la notte.

Per ridurre il problema si possono tentare due strade: separare la lamiera di copertura dall’interno con “controsoffitti” o, meglio con ampie intercapedini di aria (come fatto dall’architetto Keré nelle sue scuole in Burkina) oppure tentare di ridurre l’irraggiamento sulle lamiere stesse ombreggiandole o coprendole.

Va detta innanzitutto una cosa: tanti, tantissimi esperimenti di isolamento dei tetti in lamiera si sono rivelati disastrosi e hanno portato al deperimento di tutta la copertura in breve tempo.

La regola d’oro è non commettere l’errore di “ricoprire” lo strato esterno della lamiera metallica con qualcosa che ne impedisca la ventilazione e la rapida asciugatura dopo le piogge: appoggiare strati vegetali, tessuti ecc. sulla lamiera (a meno che non ci si trovi in pieno deserto) ne accelera infatti drammaticamente la corrosione e la decomposizione e si rischia di dover rifare un tetto dopo appena un anno o due.

Una soluzione può essere quella di creare “doppie coperture” creando uno strato ombreggiante, magari vegetale distanziato parecchi centimetri dalla lamiera. Anche in questo caso è necessario considerare attentamente costi e rischi: va considerata l’azione del vento oltre alla possibile decomposizione dello strato isolante (specie se vegetale) che potrebbe cadere o appoggiarsi sulla lamiera ricreando lo stesso problema di corrosione.

Per quanto riguarda le soluzioni “industriali” iniziano a diffondersi in molti paesi pacchetti di copertura che abbinano lamiere a un sottostante strato più o meno spesso di schiume isolanti.

Meglio di niente ma non attendetevi miracoli: si tratta pur sempre di climi estremi e spessori limitati; il montaggio inoltre avviene in maniera diversa rispetto alle lamiere non isolate e maestranze non molto specializzate potrebbero trovarsi in difficoltà (col rischio di avere un tetto realizzato male).

Infine un altro aspetto da considerare, soprattutto nel caso di aule scolastiche, è il tema dell’acustica interna, non solo per il rumore durante le piogge: il materiale metallico, lo spessore ridotto e l’ondulazione creano infatti una serie di micro-echi che formano un effetto molto fastidioso.

Vanno quindi previsti elementi anche semplicissimi che “coprano” le pareti e un controsoffitto.

Technical details – lamiera ondulata

Building tips – lamiera ondulata

  • Attenzione al materiale: a prima vista le lamiere sembrano tutte uguali ma hanno importanti differenze di spessore e qualità tanto che alcune possono costare più del doppio di quelle “base”; la durata nel tempo è ovviamente proporzionale alla qualità della lamiera; preferire lamiere zincate a caldo (hot-dip galvanization) rispetto che ad elettrolisi, più durature e resistenti;
  • Per coperture usare uno spessore di minimo 0,4 mm spessori minori si deformano facilmente; utilizzare un interasse fra i travetti di massimo 50/60 cm;
  • Oltre al colmo gli elementi di discontinuità del tetto come compluvi e displuvi sono complessi da realizzare e rischiosi per le infiltrazioni, preferire il più possibile coperture elementari, a una o due falde;
  • Il fissaggio va realizzato con cura forando solo le parti rialzate degli elementi (per evitare infiltrazioni) e usando guarnizioni intorno ai chiodi; sono in vendita chiodi speciali con rondelle in gomma oppure, in autocostruzione, si riciclano camere d’aria;
  • Prevedere sovrapposizioni adeguate fra un elemento e l’altro per ridurre i rischi del vento e delle infiltrazioni: minimo 12/15 cm di sovrapposizione in testa alle lastre e 2 onduline sui lati;
  • Valutare con cura la qualità e la quantità degli ancoraggi delle lamiere alle strutture portanti e delle strutture stesse: il sistema, leggero e impermeabile, è una vela quasi perfetta e rischia di essere divelto; in generale prevedere 8/12 chiodi per metro quadrato da posizionare nei punti più esposti al vento (bordi esterni, lati aperti ecc.) in caso di aree molto ventose aumentare il numero fino a 16/18 preferire l’uso di viti;
  • Nelle regioni aride può essere una buona soluzione ricoprire le lamiere dall’irraggiamento solare con materiali isolanti anche di recupero, questa soluzione va però evitata in regioni piovose in quanto il metallo, non asciugandosi, deperirebbe in brevissimo tempo;
  • In caso di riparazioni verificare la corrispondenza delle dimensioni delle onduline per garantire la massima aderenza agli elementi esistenti.

African way è un viaggio nei luoghi dove costruire è una necessità e richiede creatività e ingegno per recuperare materiali minimizzando le risorse.

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Federico Monica

Architetto e PhD in Tecnica e Pianificazione Urbanistica. Appassionato di Africa e fondatore di Taxibrousse mi occupo da oltre dieci anni di slum e insediamenti informali, autocostruzione, materiali e tecnologie povere.


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TaxiBrousse è uno studio che sviluppa progetti e consulenze di ingegneria, architettura, urban planning e ambiente per la cooperazione internazionale

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