Il nuovo millennio è iniziato con un evento di portata storica per l’umanità: il sorpasso della popolazione urbana su quella rurale, sospinto dall’esplosione demografica nelle grandi conurbazioni asiatiche e africane, in paesi che il nostro immaginario comune ancora classificava come interamente rurali e “incontaminati”.

La sfida che le nuove megalopoli pongono alla sostenibilità ambientale, sociale o economica è immensa, sicuramente una delle più grandi dell’età contemporanea, e se fino ad alcuni anni fa la cooperazione internazionale poteva dedicarsi quasi esclusivamente allo sviluppo rurale oggi deve necessariamente fare i conti anche con le città.

La stessa Agenda 2030 ha (finalmente!) un obiettivo dedicato alle realtà urbane: il SDG 11 che ci chiede di rendere le città e gli insediamenti umani inclusivi, sicuri, duraturi e sostenibili.

In che modo? E con quale approccio?

Nel nostro contesto europeo e occidentale, da un punto di vista strategico, i modelli e le strategie di governo urbano si basano su presupposti spesso totalmente assenti nelle nuove megalopoli (ad esempio la mappatura completa del territorio come abbiamo descritto in questo articolo) e prevedono una serie di strumenti complessi e rigidi che li rendono drammaticamente inadeguati in contesti così differenti.

periferia di Asmara, Eritrea

Pensare di proporre gli strumenti tradizionali della nostra pianificazione per governare lo sviluppo di città milionarie caratterizzate da una vertiginosa rapidità di crescita, diseguaglianze estreme, sistematica assenza di informazioni di base e scarso controllo del territorio appare una follia.

Eppure accade…più spesso di quanto possiamo pensare.

Il miraggio di una città che “funziona”, interamente pianificata e controllata, affascina ancora tanti e per questo si applicano modelli elaborati in contesti totalmente diversi.

Anche progetti di cooperazione si basano spesso su questi presupposti.

Possibili soluzioni possono arrivare invece dalla cooperazione sud-sud, soprattutto da parte di quei paesi che convivono da decenni con un “problema” urbano di enorme portata e che hanno saputo elaborare soluzioni creative e partecipative straordinariamente interessanti, Brasile e India in primis.

Diverse esperienze sperimentate in questi paesi ci insegnano la necessità di ripartire dal basso, favorendo la crescita di piccole azioni circoscritte caratterizzate da una forte partecipazione e la contestuale messa a sistema dei singoli interventi in un’ottica di scala urbana.

Ritornare quindi al “micro”, senza la pretesa di proporre (o imporre) imprese faraoniche ma creando una rete di interventi minimi fortemente finalizzati e concreti, mantenendo una regia e una visione di insieme che sappia integrarli verso obiettivi strategici.

slum di Mabella point, Freetown, Sierra Leone

L’esplosione urbana tuttavia interessa ormai solo in parte le grandi capitali e le megalopoli, da alcuni anni, specialmente in Africa e nel sud-est asiatico sono infatti le cosiddette città secondarie a sostenere i ritmi di crescita della popolazione urbanizzata; piccoli centri spesso interamente sprovvisti di infrastrutture e strumenti di governo del territorio che si trovano a dover fronteggiare nuove e inattese sfide.

Su questo tema attualissimo e strategico l’Italia può certamente giocare la sua partita come attore di primo piano.

Siamo infatti il “paese delle cento città” che da sempre ha nella sua articolazione in piccoli centri e nella valorizzazione delle peculiarità territoriali la sua forza e la sua unicità, favorendo un sistema a rete e collaborativo che potrebbe essere un modello vincente per molte realtà emergenti, travolte dalla pressione demografica e ancora in cerca di un’identità.

Senza dimenticare mai, ovviamente, che il termine cooperazione implica uno scambio alla pari di competenze, informazioni, idee e prospettive: se la nostra storia peculiare ci permette di proporre modelli organizzativi e strumenti per favorire l’amministrazione di questi centri avremmo invece molto, moltissimo da apprendere in termini di partecipazione, integrazione e approcci alternativi e creativi a diversi problemi.

La contaminazione con realtà fortemente dinamiche e vivaci potrebbe fare un gran bene al nostro modo di interpretare la città e il territorio, spesso eccessivamente orientato all’ordinaria amministrazione, alla monetizzazione e all’eccesso di norme.

Federico Monica

Architetto e PhD in Tecnica e Pianificazione Urbanistica. Appassionato di Africa e fondatore di Taxibrousse mi occupo da oltre dieci anni di slum e insediamenti informali, autocostruzione, materiali e tecnologie povere.


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TaxiBrousse è uno studio che sviluppa progetti e consulenze di ingegneria, architettura, urban planning e ambiente per la cooperazione internazionale

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