Nei primi giorni del 2019 a quasi novant’anni se n’è andato l’architetto napoletano Fabrizio Caròla.

Non vogliamo definirlo come tutti genericamente “L’architetto dell’Africa”, ma l’Architetto del Sahel: Fabrizio ha infatti dedicato la sua vita a studiare e innovare metodi costruttivi per le regioni semi-aride del continente, lavorando principalmente in Mali, nel sud della Mauritania e nel nord del Ghana.

Nell’epoca immediatamente successiva alle indipendenze, mentre schiere di tecnici e intellettuali pensavano di dover portare i lumi della tecnologia occidentale ai paesi “sottosviluppati”, Fabrizio Caròla intraprese un percorso opposto.

Iniziò infatti a studiare l’architettura vernacolare e popolare, ispirandosi soprattutto al grandissimo architetto egiziano Hassan Fathy. Fu proprio su uno degli schemi di Fathy che Caròla scoprì l’intuizione che elaborò per tutta la sua carriera: la cupola nubiana realizzata a compasso, un sistema statico e costruttivo che non richiede cemento nè ingenti quantità di legno e che risulta fortemente suggestivo.

Caròla approfondì la statica del sistema tradizionale delle cupole, arrivando a produrre sistemi complessi di archi affiancati o di elementi consecutivi collegati o sovrapposti.

Alla base del suo modo di intendere l’Architettura è sempre stata la convinzione di dover fare a meno di materiali e tecnologie importate e di limitare al massimo lo spreco di risorse preziose per i contesti in cui si opera, nel caso del Sahel acqua e legno.

Fra le sue opere più note e interessanti l’ospedale di Kaedì, in Mauritania, il mercato di Mopti e il mercato delle erbe a Bamako, il centro di Medicina di Bandiagara in Mali oltre al palazzo del Re di Dahomey per il film “Cobra Verde” di Herzog in Ghana (tratto dal “Vicerè di Ouidah” di Bruce Chatwin).

Edifici straordinari, realizzati con tecnologie antichissime e elementari ma straordinariamente contemporanei e allo stesso tempo integrati perfettamente nel paesaggio locale.

Negli ultimi anni di vita ha insegnato le tecniche costruttive di cupole e volte a decine di studenti realizzando numerosi prototipi e esperimenti.

Ebbi la fortuna di incontrarlo molti anni fa, quando ancora ero un giovane studente di architettura alle prime esperienze “africane”; se poco tempo dopo decisi di dedicarmi alla ricerca sulle dinamiche urbane in Africa sub-sahariana e se oggi esiste Taxibrousse è anche grazie all’entusiasmo e alla passione visionaria di quell’uomo.

Grazie Fabrizio, Architetto del Sahel, e buon vento ovunque tu sia…

Federico Monica

Architetto e PhD in Tecnica e Pianificazione Urbanistica. Appassionato di Africa e fondatore di Taxibrousse mi occupo da oltre dieci anni di slum e insediamenti informali, autocostruzione, materiali e tecnologie povere.


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TaxiBrousse è uno studio che sviluppa progetti e consulenze di ingegneria, architettura, urban planning e ambiente per la cooperazione internazionale

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