Solitamente questo blog racconta di città lontane, distanti fisicamente e non solo da quella che è la realtà occidentale che ci circonda, in questi giorni torridi però cade un anniversario speciale, ed è per questo che faremo un’eccezione, fermandoci a raccontare un pezzo di storia della nostra città: Parma.

La storia si svolge i primi giorni di un caldissimo agosto di 97 anni fa.

E’ il 1922, il Partito Nazionale Fascista, che meno di tre mesi dopo prenderà il potere a seguito della marcia su Roma, ha deciso di stroncare gli scioperi in corso in varie città d’Italia organizzando squadre di volontari armati; situazioni che si sono già viste nei mesi e anni precedenti, ma a Parma qualcosa va storto.

Chi ha visitato la nostra città sarà rimasto colpito dal largo torrente spesso in secca che la divide in due parti, una divisione non solo fisica ma anche e soprattutto sociale: da un lato la città dei palazzi, dei teatri, delle botteghe traboccanti di salumi, dall’altra la città dei poveri, popolare, misera e orgogliosa allo stesso tempo.

Quella parte è da sempre chiamata Oltretorrente.

Guardando le immagini d’epoca e leggendo le descrizioni non c’è dubbio che l’Oltretorrente fosse un vero e proprio slum: sovraffollato, con strette case fatiscenti addossate una all’altra in un labirinto di vicoli, addirittura abitato da gente pericolosa, come ci ricorda un bel pezzo di Bruno Barilli:

la plebe porta il tabarro alla spagnuola, il cappelluccio calcato sugli occhi, e sputa fuori dei denti con tracotanza parlando a grumi quel dialetto mescolato e gagliardo che ancora dura. Il cosiddetto vino della bassa, mistura schiumosa e spropositata che faceva bum nello stomaco, dava fuoco ai loro discorsi e aggiungeva risonanza all’umore fondo di questi odiatori del genere umano.

Ecco, questa plebe che abita l’Oltretorrente, geneticamente poco avvezza a piegarsi non accetta l’affronto di vedere invaso il proprio quartiere; dalla loro hanno la lucida intelligenza e il carisma di Guido Picelli, deputato socialista e spirito libero ideatore degli “Arditi del Popolo”.

E’ il due agosto, in poche ore le strade di accesso al quartiere vengono bloccate con dei carri, la gente del quartiere inizia a costruire barricate con mobili, suppellettili, sacchi e lastre di pietra divelte dai vicoli.

Spuntano alcuni vecchi fucili della grande guerra, si organizzano turni di guardia, le milizie squadriste, guidate addirittura da Italo Balbo arrivano in forze in città e tentano alcuni attacchi lungo i ponti ma vengono puntualmente respinte.

A onor del vero non fu solo l’Oltretorrente a ribellarsi ma anche l’altra zona povera della città: il quartiere di borgo del Naviglio, alla periferia nord, dove i resistenti guidati dall’anarchico Cieri avevano costruito barricate con i banchi trasportati a spalla dal prete della vicina chiesa della Trinità.

Sì perchè in quei giorni di agosto dietro le barricate resistono fianco a fianco gli arditi di Picelli, i socialisti di Alceste De Ambris, i cattolici come il giovane caduto Ulisse Corazza, anarchici, repubblicani e liberali: un popolo intero senza distinzioni di appartenenza politica o sociale, con un ruolo fondamentale svolto dalle donne e da ragazzini (uno di loro, il quattordicenne Gino Gazzola, sarà una delle quattro vittime fra i rivoltosi).

Resterà leggendario il ruolo assunto da padre Lino, “il frate dei poveri”, che attraversò più volte i ponti sotto il tiro dei cecchini per portare provviste e cure oltre le barricate.

Possiamo solo immaginare l’aria che si respirava in quelle notti di agosto, fra la paura di un attacco e il brivido dell’emozione di chi sta scrivendo una pagina di storia, fra il lambrusco scuro e aspro e le arie di Verdi intonate al riparo di un carro, in equilibrio sui tetti o nell’ombra dei vicoli.

Lo descrive meravigliosamente Attilio Bertolucci in una poesia, Ricordando il ’22 a Parma, che consiglio a tutti di cercare…

All’alba del sei agosto interviene il regio esercito, frapponendosi fra assedianti e assediati; i militari sono accolti con fiori e abbracci dal popolo dell’Oltretorrente che ha vinto la sua battaglia contro le squadre nere di Balbo, costrette a rompere l’assedio e ritirarsi dalla città.

La storia d’Italia prese poi un’altra piega, e l’ardire dell’Oltretorrente fu punito smembrando i borghi storici e disperdendone la popolazione ma in questi giorni vogliamo fermarci a questi eventi eroici, in cui gli abitanti dei quartieri poveri prendono in mano il proprio destino e diventano un esempio di libertà e speranza per tutti, come accadrà oltre sessant’anni dopo nelle township sudafricane, come accade oggi stesso grazie a persone meravigliose come Marielle Franco.

Se la nostra passione si accende e brucia per chi vive con coraggio e enorme dignità nelle periferie sterminate di questa terra è anche grazie all’esempio di questi eroi “vincenti per qualche giorno, vincenti per tutta la vita.”

Federico Monica

Architetto e PhD in Tecnica e Pianificazione Urbanistica. Appassionato di Africa e fondatore di Taxibrousse mi occupo da oltre dieci anni di slum e insediamenti informali, autocostruzione, materiali e tecnologie povere.


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TaxiBrousse è uno studio che sviluppa progetti e consulenze di ingegneria, architettura, urban planning e ambiente per la cooperazione internazionale

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Una risposta su “Una storia da raccontare: le barricate del 1922 a Parma”

  1. Ricordando il ’22 a Parma

    Si erano vestiti dalla festa
    per una vittoria impossibile
    nel corso fangoso della Storia.

    Stavano di vedetta armati
    con vecchi fucili novantuno
    a difesa della libertà conquistata

    da loro per la piccola patria
    tenendosi svegli nelle notti afose
    dell’agosto con i cori

    della nostra musica
    con il vino fosco
    della nostra terra.

    Vincenti per qualche giorno
    vincenti per tutta la vita.

    Attilio Bertolucci

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